Quando i profughi erano i Veneti
(Da una lettera dell’Episcopato Veneto al popolo durante la prima guerra mondiale)
E’ storicamente documentato come il Vescovo di Padova, Luigi Pelizzo; il Vescovo di Vicenza, Ferdinando Rodolfi e gran parte del clero come delle suore delle due diocesi furono molto attivi nell’aiutare i “nostri” Profughi Altopianesi nella vicenda terribile del maggio 1916 quando 25.000 nostri paesani dovettero “scappare” dalla loro adorata terra spinti dalla falsa promessa delle autorità che si trattava di qualche settimana.
Ora sappiamo, noi loro figli e nipoti, le indicibili sofferenze patite in quei 5 lunghi anni, perchè arrivati gli anni del centenario della Prima Guerra Mondiale, sono stati riesumati documenti e foto dagli archivi storici; pochissime sono testimonianze degli ultimi sopravissuti anche perchè al loro ritorno, i nostri nonni, specialmente le nonne e genitori non ne volevano parlare. Forse era tale il dolore fisico e mentale patito da voler eliminarlo dalla memoria.
“…Sciolto il tributo della pietà filiale al Padre comune, il nostro pensiero si rivolge al nostro gregge fedele. E lo vediamo, ahimè, in parte disperso e sbandato in ogni lembo d’Italia. A voi, profughi delle terre invase, e delle zone battute dalle artiglierie nemiche, a voi Suore raminghe, che doveste esulare o con gli infermi, o con gli orfani, con i vecchi invalidi e perfino co’ mentecatti affidati alle vostre cure, sia il nostro saluto, la paterna nostra parola di conforto. V’abbian visti in lunghe e dolorose schiere passar per le strade e traverso i campi nei giorni del dolore, col terrore sul volto, povere vittime innocenti di questa terribile guerra. V’abbiamo seguiti nelle vostre peregrinazioni, accalcati ai ponti, nelle lunghe attese alle stazioni delle ferrovie, pigiatisui treni, alle porte delle città; smenbrate le famiglie, rovinate le fortune, smarriti i figli, lo sgomento nell’anima. Quanto avete sofferto, quanto soffrite ancora! Poveretti: a voi è stato serbato un dolore, che nessuno può misurare.” continua la lettera “…Dappertuto vi sono anime buone che intendono il vostro dolore, che si prendono a cuore i vostri bisogni, vi confortano e vi aiutano…custodite l’inviolabilità della famiglia, la innocenza dei fanciulli, il candore delle vostre figliuole…passati i giorni della tribolazione possa ciascuno di voi tornare al proprio paese, tra i parenti e gli amici d’un giorno…”
E’ risaputo che i “nostri” profughi erano per lo più “sistemati” nel basso vicentino ma molti altri erano sparsi in tutte le contrade d’Italia; dalla Lombardia al Piemonte, dalle Marche alla Campania e giù finanche in Sicilia.
Comunque è documentato che il Vescovo di Padova, Luigi Pelizzo, è stato in visita ai tanti Altopianesi profughi in quel di Varese e d’intorni; sempre accolto con entusiasmo e calore. La cronaca della visita a Varese dell’ amatissimo Presule sottolinea come: …Degno di particolare menzione è il gentile pensiero che il Signor Bonomo di Asiago, che volle fare omaggio a Mons. Vescovo di due serie di cartoline assai riuscite di Asiago quale fu, e quale ora ridotto dalla barbarie nemica. Nella stessa occasione conobbe il Cav. Badini chiamato “il papà dei profughi” per le sue benemerenze nei riguardi della gestione dei profughi provenienti dal Veneto…infatti erano considerati ospiti graditissimi, circondati da ogni cura.
Senzaltro, a mio parere, un’accoglienza che spesso non hanno trovato nel basso vicentino dove erano visti “come nemici” forse a causa del loro todescare (cimbro) o modo di parlare.
Il profugato patito dai nostri altopianesi come degli altri veneti o friulani ha cambiato il modo di essere delle “nostre” donne. Basta pensare con quale forza d’animo e dignità hanno dovuto gestire il profugato, gli uomini attivi o erano al fronte o erano emigranti, che ha voluto dire prendersi al 100% l’incarico di capofamiglia e partire, con la morte nel cuore, portandosi a presso i bambini, dai neonati ai ragazzi e i vecchi anche quelli ammalati. Per andare dove? trovare un riparo e trovare qualcosa da mangiare. Che grinta che amore queste nostre donne. Sono ritornate, dopo 5 lunghi anni, nei loro paesi innamorate della loro terra anche se sconquassata da un’infinità di bombe, quasi irriconoscibile.
Aggiungo un fatto storico per capire l’attaccamento degli Altopianesi alla loro terra: …radunati i capifamiglia di Stoccareddo (più donne che uomini) venne chiesto loro: poichè il paese è da ricostruire completamente vi consiglio – dice l’incaricato del governo per la ricostruzione – di pensare alla ricostruzione di Stoccareddo nella zona Valbella, un sito molto più comodo a Gallio anche per voi. I capifamiglia risposero che non erano interessati alla nuova ubicazione e vollero la ricostruzione ancora là alle pendici del Col del Rosso.
Amerigo Baù